Retroscena Bufera Conte, la lunga giornata dei sospetti sul ritorno di Di Maio. Salvini: «Se si cambia, salta tutto»

Il timore di dover dire sì a un governo guidato dal leader dei Cinquestelle

La giornata dei sospetti comincia con lo spread sul debito che arriva a quota 196. Seguono, a partire dal New York Times, le bordate che nel corso della giornata si fanno raffica nei confronti di Giuseppe Conte, il candidato premier proposto dai 5 stelle e accettato dai leghisti. E si conclude nell’incertezza sui tempi di convocazione al Quirinale del presidente del Consiglio in pectore.

Confronto di novanta minuti

Normale che Matteo Salvini e Luigi Di Maio abbiano molto da dirsi. E infatti, nel primo pomeriggio si confrontano per oltre novanta minuti filati. Al termine, il segretario leghista arriva tra i suoi parlamentari famelici di notizie e, per prima cosa, ribadisce la sua fiducia in Di Maio: «Che vi devo dire? Io di Luigi mi fido. Credo davvero che sia in buona fede». Eppure, qualche cosa al segretario leghista non torna. E così, completa la frase: «Di Luigi mi fido, ma non so se tutti quelli che ha intorno siano altrettanto affidabili». Un tarlo rode il capo leghista, e i suoi lo riferiscono così: «Noi abbiamo, come da accordi presi, lasciato a loro la scelta del premier: come è possibile, ferma restando la fiducia, che abbiano scelto una persona di cui, ad ogni ora che passa, se ne sente una nuova?».

Salvini: no a un governo Di Maio

Il dubbio è quello che tra i leghisti resiste da tempo: e cioè, che — tramontate le ipotesi «terze», quelle del «nome condiviso» — alla fine Matteo Salvini sia costretto a dire sì a un governo guidato da Luigi Di Maio. Così come ritengono piacerebbe al presidente Sergio Mattarella. Ma lui, il segretario leghista, continua a dire no: «Lo ripeto dal 5 marzo. Io posso benissimo non essere il premier, ma allora neppure può esserlo Di Maio». Di più: «O il governo parte come deve essere, oppure torniamo tutti quanti a votare». Un pensiero che nelle ultime ore scintilla spesso tra le idee del capo leghista, con la vittoria in Val d’Aosta e alcuni sondaggi che sono arrivati a dare la Lega al 25,5%.

Salta la triade Conte-Savona-Massolo?

Anche perché, a tarda sera, parte una nuova folata di voci: l’impianto sostanziale del governo — che vede premier Conte, ministro all’Economia Paolo Savona e agli Esteri Giampiero Massolo — sarebbe saltato. I leghisti accolgono gelidamente la notizia: «Noi stiamo a quanto concordato fino a questo momento. Se altri non sono più d’accordo, se ne assumeranno la responsabilità. E si va al voto». Salvini avrebbe anche detto di essere «pronto a tutto: al governo, al voto, alle barricate».

Il silenzio del Quirinale

Ma i sospetti leghisti si appuntano anche sul Quirinale: a ieri sera, dal Colle non era ancora arrivata alcuna comunicazione. E molti leghisti sono inquieti: «Ci hanno detto e ripetuto di fare presto. Poi, il lunedì diamo al capo dello Stato un nome che ha una maggioranza in Parlamento, e lui va a Civitavecchia». Un riferimento alla partecipazione del presidente alla partenza della Nave della legalità. Tra i leghisti meno diplomatici se ne sentono di addirittura roventi: «Come mai aspetta? Per far salire lo spread di un altro “ventello” e fare pressione su Matteo?». Uno stupore per la scelta d’attesa condivisa anche da buona parte del Movimento.

Ancora colloqui

I 5 Stelle vivono la loro giornata in altalena, tra la «sorpresa» per il susseguirsi di notizie sul curriculum di Conte e i fitti contatti tra i due leader. Ma è Di Maio a rassicurare i più inquieti: «Con Salvini siamo e restiamo d’accordo su tutto», avrebbe detto ai suoi il capo politico. I due leader si rivedono prima di lasciare Montecitorio: si studiano possibili scenari ed equilibri. Con il passare delle ore crescono pure i sospetti di una manovra del Movimento, di un blitz per piazzare Di Maio a Palazzo Chigi. Ma i Cinque Stelle respingono i sospetti. «L’ideale di tutti sarebbe un governo politico, però Salvini non vuole e per noi si procede con Conte. L’idea di un cambio forse sarà balenata ad altri». E ancora: «Noi? Ci sentiamo sicuri dell’accordo politico che abbiamo intavolato. Crediamo che siano fattori esterni a noi e alla Lega a creare intoppi». Il problema su Paolo Savona all’Economia, professore anti euro, però resta. Anche se Salvini scuote la testa: «Incredibile. Lui non è un leghista. È stato ministro di un padre della Patria come Ciampi, è stato in Bankitalia…».

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